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QUANTO E' SOSTENIBILE ESTRARRE METALLI RARI DAL FONDO DEL MARE?
Monday 14 November
QUANTO E' SOSTENIBILE ESTRARRE METALLI RARI DAL FONDO DEL MARE?

Il progetto della canadese Metals Company punta a estrarre nichel, cobalto e rame per rifornire l'intero parco macchine elettriche degli Stati Uniti. Ma l'impatto sull'ambiente è più grande di quel che si pensa.

Per ragioni di salvaguardia della filiera e di sostenibilità del prodotto finito, agli Stati Uniti converrebbe rifornirsi di materie prime per le batterie delle auto elettriche (litio, nichel e cobalto, per esempio) da giacimenti vicini al territorio nazionale, se non addirittura interni. Oltre infatti a ridurre l’esposizione a governi ostili che potrebbero limitare le forniture per ragioni politiche – è il rischio corso con la Cina, la grande rivale d’America che domina le supply chain di questi metalli –, un deposito minerario vicino agli stabilimenti manifatturieri permetterebbe di risparmiare le emissioni del trasporto a lunga percorrenza. 
 
Una filiera corta, insomma, fa bene sia alla sicurezza nazionale che al clima. Gli Stati Uniti vorrebbero in effetti aprire delle miniere di metalli per la transizione energetica in patria, ma è difficile mettere d’accordo le tante voci contrarie: ci sono gli attivisti preoccupati per l’ambiente, le comunità spaventate dall’impatto sulla salute e sul paesaggio, gli agricoltori che temono di rimanere senz’acqua per i campi e il bestiame, i nativi americani che non vogliono veder profanate le loro terre sacre. 

I metalli critici sotto il fondale oceanico

In una democrazia, l’interesse strategico non può passare sopra tutto questo. Ci sarebbe però un luogo abbastanza vicino, lontano dalla popolazione e invisibile alla vista, dunque teoricamente perfetto: il fondale dell’oceano Pacifico. 
A circa 1.700 chilometri a sud-ovest dalla costa messicana di Manzanillo – più o meno la distanza tra New York e Memphis, o tra Roma e Varsavia – si trovano le zone di frattura di Clarion e di Clipperton. In quest’area compresa tra il Messico centrale e le Hawaii la compagnia mineraria canadese The Metals Company punta a estrarre svariate tonnellate di rocce contenenti nichel, manganese, cobalto e rame. Una volta trasformate in batterie potranno alimentare 280 milioni di auto elettriche, vale a dire l’intero parco circolante oggi negli Stati Uniti.

L’amministrazione di Joe Biden vuole che entro il 2030 la metà dei nuovi veicoli venduti nel paese siano elettrici, ma riconosce che né l’America né i suoi alleati producono quantità sufficienti di minerali critici per le batterie e le altre tecnologie “pulite”. Senza le materie prime Washington rischia di perdere la rivoluzione industriale dell’elettrico e di sviluppare una dipendenza da Pechino, cedendo all’avversaria il primato economico e geopolitico. 

Perforare il fondale oceanico e prelevarne le risorse minerarie garantirà a Metals Company un profitto stimato di 31 miliardi di dollari in vent’anni. Alla Casa Bianca, invece, assicurerà forniture abbondanti e soprattutto affidabili, dato che la società vorrebbe aprire un impianto di lavorazione della materia grezza in Texas. Tutti i soggetti coinvolti nell’estrazione, poi, hanno nazionalità amiche, non c’è traccia di cinesi o di russi: Metals Company è canadese, Maersk è una compagnia di navigazione danese, Allseas (azienda di servizi energetici offshore) e Glencore (gruppo minerario che ha già prenotato il rame e il nichel) sono svizzere. 
Metals Company sta testando le proprie apparecchiature minerarie nelle profondità oceaniche, che le consentono di “aspirare” le rocce (noduli polimetallici, in gergo tecnico) e, attraverso una serie di tubi, di portarle in superficie. Ma la pressione è così alta da mettere fuori uso i sistemi di cablaggio elettrico; al posto degli operai, poi, si mandano veicoli comandati a distanza. La fase di prova è comunque quasi conclusa, e le autorità di regolazione – il sito si trova in acque internazionali – dovranno decidere se permettere lo sfruttamento su larga di questi fondali, forse già dal 2024: sarebbe la prima volta. Alcuni paesi, come Francia, Germania, Spagna e Micronesia, hanno tuttavia espresso perplessità o contrarietà.

L'impatto ambientale del deep sea mining
L’estrazione mineraria dagli oceani, anche se riguarda dei materiali per la transizione ecologica, può essere sostenibile? Metals Company dice di sì. Gli scienziati, che partecipano alla missione di prova della società, hanno invece molti più dubbi.

La dispersione di sedimenti sul fondale, e la stessa distruzione delle rocce, rimuovono habitat e potrebbero ostacolare la vita marina. Vita che potrebbe essere sconosciuta, peraltro: le zone di Clarion e Clipperton non sono ancora state esplorate a fondo, e si immagina perciò che le loro acque siano popolate da organismi ignoti alla scienza.

Il danno alla biodiversità del deep sea mining potrebbe essere più grande di quello che crediamo. Ma la sostenibilità è diventato un valore commerciale talmente importante che le stesse case automobilistiche che hanno bisogno di batterie, e le stesse aziende chimiche che utilizzerebbero i metalli estratti dall’oceano per produrle – come Renault, Volkswagen, Bmw e Samsung Sdi –, appoggiano la moratoria allo sfruttamento dei fondali.

La questione oceanica alla Cop27
La questione oceanica è al centro anche della Cop27, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite in Egitto. Si lega infatti al macro-tema dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo, che non hanno contribuito alle emissioni quanto i grossi inquinatori ma che più di tutti subiscono l’impatto dei cambiamenti climatici, tra eventi meteorologici estremi e innalzamento dei livelli delle acque. La situazione è drammatica proprio nel Pacifico. Alla Cop26 il ministro degli Esteri di Tuvalu, una piccola nazione insulare in Oceania, aveva denunciato il problema con un videomessaggio d’effetto: in giacca e cravatta, ma immerso nell’acqua fino alle ginocchia. “Stiamo affondando”.

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