Secondo l’Hydrogen Innovation Report 2022 (seconda edizione) dell’Energy&Strategy Group, School of Management Politecnico di Milano, prevedere una decarbonizzazione con l’idrogeno totale è in alcuni settori industriali e nel trasporto pesante attualmente impossibile. Per attuare un piano che favorisca l’idrogeno e soprattutto l’idrogeno verde servono altri 70 GW di rinnovabili e almeno 15 di elettrolizzatori. Attualmente il piano italiano è purtroppo fermo a 5 GW di elettrolizzatori entro il 2030.
La tensione sui prezzi ed eventuali speculazioni, il conflitto in Ucraina e l’incertezza sulla fornitura del gas russo hanno fatto sì che l’idrogeno – fonte “nuova” alla quale erano state affidate molte aspettative sulla lotta alle emissioni di gas climalteranti – sia un po’ uscito dal dibattito, vuoi per i pesanti investimenti necessari allo sviluppo della capacità produttiva, soprattutto per l’idrogeno verde, vuoi per la complessità di organizzare la filiera del trasporto e dello stoccaggio, vuoi ancora per la necessità dei policy maker di risolvere i problemi immediati di fabbisogno energetico.
Tuttavia, ci sono industrie (acciaio e fonderie, chimica, ceramica, carta e vetro) e trasporti pesanti che non hanno alternative concrete all’idrogeno per avviare un processo di decarbonizzazione. Questi settori dovranno sostenere pesanti investimenti di transizione energetica per affrontare sfide economiche e tecnologiche: avranno bisogno di almeno altri 70 GW di rinnovabili e 15 GW di elettrolizzatori, ma il piano italiano al momento è fermo a 5 GW di elettrolizzatori al 2030. Di questo si occupa l’Hydrogen Innovation Report 2022 redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, presentato e discusso il luglio scorso insieme all’ampia compagine delle aziende partner della ricerca, che hanno analizzato le potenzialità del mercato dell’idrogeno in Italia in ottica decarbonizzazione, focalizzandosi sull’utilizzo in quei settori che risultano difficilmente elettrificabili e in alcuni importanti segmenti dei trasporti, da quello pesante su gomma a quello navale, aereo e su rotaia per le tratte non ancora elettrificate.
“Le nostre analisi evidenziano che lo sviluppo di un mercato dell’idrogeno verde costituisce lo strumento principale per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione nei settori industriali cosiddetti hard-to-abate e nel trasporto pesante – conferma Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy&Strategy del Politecnico di Milano. Occorre però maggiore chiarezza a livello comunitario sulla definizione di green gas, per non rallentare le iniziative in partenza e chiarire le possibili configurazioni di produzione ammissibili, così come servono specifici strumenti di incentivazione per l’idrogeno. In Italia, in attesa del documento finale sulla Strategia Nazionale per l’idrogeno, vanno definiti chiaramente obiettivi e linee guida per raggiungere una piena decarbonizzazione: snellire gli iter autorizzativi necessari alla crescita delle rinnovabili, favorire l’installazione di nuova capacità legata agli elettrolizzatori e i progetti per applicare l’idrogeno ai settori hard-to-abate, definire le norme tecniche di sicurezza in merito a produzione, trasporto, stoccaggio e utilizzo dell’idrogeno, come previsto dal PNRR. Allo stato attuale della tecnologia e dei costi di produzione, senza incentivazioni o qualche forma di ‘prescrizione’ gli utilizzatori industriali hanno una scarsa convenienza economica a sostituire il metano o l’idrogeno grigio con l’idrogeno verde”.
Domanda e produzione di idrogeno in Europa
Oggi la domanda complessiva di idrogeno in Europa si attesta sulle 8,4 Mton annue: il settore della raffinazione è il principale utilizzatore con il 49% del totale, seguito dalla produzione di ammoniaca (31%) e di metanolo (5%). La produzione annua europea di idrogeno, invece, si aggira attorno alle 10,5 Mton e deriva prevalentemente da impianti di reforming da gas naturale (SMR, steam methane reforming) posti nei principali siti di consumo, come le raffinerie e gli impianti di produzione di ammoniaca. L’Italia è il quinto Paese europeo per consumo di idrogeno, con circa 0,6 Mton: più del 70% della domanda viene dalla raffinazione, circa il 14% dal settore dell’ammoniaca e il resto dalla rimanente industria chimica. Dal punto di vista tecnologico, per questi comparti non esistono particolari vincoli al passaggio all’idrogeno blu o verde.
Il costo dell’idrogeno verde e dell’idrogeno blu
Analizziamo a quali livelli di prezzo delle emissioni di anidride carbonica sarebbe equivalente adottare idrogeno blu e verde al posto dell’attuale idrogeno grigio. Nel caso dell’idrogeno blu, il costo della CO2 evitata è pari a 100 o 111 €/tonCO2, a seconda che si consideri una percentuale di cattura delle emissioni rispettivamente del 50% o 90%. Questi valori si avvicinano molto all’attuale costo della CO2 sul mercato ETS (Emissions Trading System), che nei primi mesi del 2022 ha superato il valore di 90 €/tonCO2. Nel caso invece dell’idrogeno verde, il costo della CO2 evitata cresce notevolmente, arrivando fino a 900 €/tonCO2. Valori al momento “fuori scala”, nonostante la corsa del mercato del CO2 dell’ultimo anno.
Avviare la decarbonizzazione nei settori hard-to-abate
Sono stati quindi indagati alcuni settori industriali hard-to-abate (“difficili da abbattere”) che potrebbero adottare l’idrogeno verde come vettore energetico al posto del gas naturale per la il soddisfacimento dei consumi termici, qualora l’elettrificazione diretta risultasse difficilmente percorribile. Per tutte le tecnologie utili alla decarbonizzazione prese in considerazione – cogeneratori a motore alternativo, cogeneratori a turbina, forni e caldaie – l’attuale parco installato risulta già in grado di sopportare una quota di idrogeno in miscela fino al 20%, ma solamente le caldaie sono pronte per essere alimentate al 100% con idrogeno, i cogeneratori ancora no. In più, una significativa riduzione delle emissioni di CO2 si raggiunge solo nel caso di completa sostituzione del gas naturale, con una conseguente domanda di idrogeno verde nell’ordine delle centinaia di kton all’anno.
Lo studio analizza anche alcuni settori dei trasporti caratterizzati da lunghe percorrenze e da grandi quantità di materiali o persone caricate, dove l’elettrificazione non è tecnologicamente perseguibile per l’eccessivo peso delle batterie: trasporto pesante su gomma, trasporto aereo, navale e su rotaia nel caso di linee non elettrificate. In Europa, i trasporti sono il secondo comparto industriale in termini di emissioni di GHG (Greenhouse gasses, gas che intrappolano il calore nell’atmosfera contribuendo all’effetto serra), con circa 950 MtonCO2eq (23% del totale) e il primo per consumo energetico, con circa 290 Mtep (31% del totale). I settori presi in esame emettono il 30% delle emissioni totali di GHG nel comparto.
Tuttavia, l’introduzione dell’idrogeno e di altri carburanti di sintesi prodotti a partire da esso, come ammoniaca o metanolo, è ancora a uno stato embrionale per motivi tecnologici (efficienza di tutto il processo, dalla produzione di idrogeno al consumo finale), infrastrutturali (mancanza di un network di refilling stations nei possibili punti di consumo) ed economici (attuali costi di produzione dell’idrogeno verde). In ottica di decarbonizzazizone del trasporto pesante su gomma, le iniziative più promettenti relativamente agli e-fuels riguardano l’adozione di e-Idrogeno nelle Fuel Cell oppure di e-Diesel ed e-Metano/e-GNL negli attuali motori MCI. Nel trasporto navale si evidenzia maggior attività di ricerca per l’uso di e-Idrogeno nelle Fuel Cell oppure l’adozione di e-Diesel, e-Metano/e-GNL, e-Ammoniaca ed e-Metanolo negli attuali propulsori, o attraverso lo sviluppo di motori di nuova generazione. Il trasporto aereo vede iniziative di decarbonizzazione più limitate, almeno nel breve periodo, mentre nel medio-lungo termine si guarda con interesse all’e-Idrogeno nelle Fuel Cell e nelle turbine (insieme all’e-Jet). Infine, il trasporto su rotaia nelle tratte non ancora elettrificate, dove le iniziative si sono concentrate solo sull’adozione di e-Idrogeno in Fuel Cell.
Lo sviluppo dell’idrogeno verde e dell’idrogeno blu in Europa
Dei 40 GW di elettrolizzatori previsti dalla Commissione Europa al 2030, circa il 65% dovrebbe arrivare da Italia, Olanda, Germania, Spagna, Portogallo e soprattutto Francia, che con i suoi 6,5 GW, sarà la capofila per la produzione di idrogeno da elettrolisi sfruttando il basso tasso emissivo della propria rete elettrica.
Tutti i Paesi hanno già definito gli investimenti per la decarbonizzazione parziale o totale da realizzare entro il 2030, per favorire lo sviluppo della filiera dell’idrogeno, destinati in modo trasversale a ogni componente: tecnologie per la produzione, tecnologie/progetti per la penetrazione nei settori hard-to-abate, attività di ricerca e sviluppo, studi di fattibilità per impianti di trasporto e distribuzione.
L’aggiornamento della mappatura a livello europeo delle installazioni annunciate o pianificate di impianti per la produzione di idrogeno a basso impatto ambientale mostra come la Germania sia il primo Paese in termini numerici, mentre per capacità è la Spagna a occupare il primo posto con circa 70 GW di idrogeno verde, seguita dalla Gran Bretagna (circa 22 GW di capacità, dove però l’80% sarà idrogeno blu). A parte il caso dello UK, la maggior parte della produzione è stata pianificata mediante elettrolizzatori integrati con rinnovabili dedicate, con una certa prevalenza per gli impianti eolici offshore.
Il mercato dell’idrogeno verde nei settori hard-to-abate in Italia
Infine, è stato valutato il potenziale di mercato legato allo sviluppo della filiera dell’idrogeno per i settori hard-to-abate in Italia, in particolare le industrie dell’acciaio, della carta, del vetro e della ceramica. L’attuale domanda annua di 0,51 Mton, legata alle raffinerie e alla produzione di ammonica, se fosse coperta da idrogeno verde si tradurrebbe in un fabbisogno addizionale di energia rinnovabile pari a circa 29,6 TWh. Nell’ipotesi di rispettare il solo vincolo di addizionalità, questo comporterebbe almeno 16,4 GW di nuova capacità rinnovabile, valore che salirebbe notevolmente nel caso si rispettasse anche il vincolo di contemporaneità. Si determinerebbe inoltre la necessità di prevedere nuova capacità di elettrolizzatori compresa tra 3,7 GW, nel caso di funzionamento a pieno carico (8.000 ore equivalenti), e circa 9 GW nel caso di funzionamento a 3.300 ore annue.
Per la valutazione dei consumi di idrogeno verde legati ai settori industriali hard-to-abate che attualmente non utilizzano idrogeno, ma che potrebbero in futuro adottare l’idrogeno verde come vettore di energia termica, sono stati identificati differenti scenari di blend idrogeno verde e-gas naturale pari rispettivamente al 10%, 20% e 100% in volume. Il caso di blend al 100% – l’unico che darebbe un contributo significativo all’abbattimento delle emissioni – determinerebbe un consumo complessivo addizionale di idrogeno verde pari a circa 2 Mton/anno e consumi ulteriori di energia elettrica rinnovabile pari a circa 117 TWh, che potrebbero essere coperti da 64,9 GW di nuova capacità rinnovabile nell’ipotesi di rispettare il solo vincolo di addizionalità. A livello di elettrolizzatori, la nuova capacità necessaria per produrre questi volumi di idrogeno sarebbe compresa tra 14,6 GW, nel caso di funzionamento a pieno carico (8.000 ore equivalenti), e 35,4 GW nel caso di funzionamento a 3.300 ore annue equivalenti.
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